giovedì 5 ottobre 2017

Due interviste

Prima intervista

Il  22 settembre si è svolto il primo direttivo di asimmetrie nella nuova sede operativa, che è ancora un cantiere. Quattro ore per decidere tante cose, dall'organigramma dell'associazione al programma del #goofy6. Marcello aveva detto che a un certo punto sarebbero venuto a intervistarlo, e così è stato: già che c'erano, hanno intervistato anche me, e questo è il risultato. Non fate caso al gatto morto che devo tenere in mano: la stanza è spoglia, il soffitto alto, l'acustica molto risonante: la pelliccia del gatto morto serve ad ovviare a questa risonanza.

I contenuti li lascio valutare a voi...


Seconda intervista

Il 19 marzo sono andato al Casale Alba due per un incontro dal titolo eloquente, che forse ricorderete:


Fra il pubblico c'era un simpatico giovine friulano, che poi mi contattò per un'intervista da pubblicare su questo interessante blog. Qualcuno di voi ha saputo, e qualcun altro intuito, che anno io abbia passato. Fatto sta che sono riuscito a rispondere alle sue domande (corrette e moderatamente stimolanti) solo qualche giorno fa. Non ho avuto alcuna risposta. A questo punto, visto che ho perso tempo a rispondere, l'intervista la pubblico qui (dove avrà molte più opportunità di essere letta). Fatemi sapere se vi interessa, e magari anche perché il mio parere oggi non viene più ritenuto interessante dal blog dei montanari (a proposito: fra pochi minuti sono su Radio Onda Rossa: Bagnaiextraparlamentaredisinistraaaaaaaa...).





> 1° Prof. Bagnai, l'Italia entrando nell'UEM ha adottato un cambio sopravvalutato - una delle cause principali della perdita di produttività delle aziende medio-piccolo - che, in assenza dello strumento della svalutazione esterna, impone sostanzialmente due vie per incrementare la competitività delle imprese: la deflazione salariale e la precarizzazione del lavoro. Si potrebbe dire, senza tema di smentita, che l'euro sia uno strumento di lotta di classe che ha completato il disegno di smantellamento dei diritti sociali, avviato con le politiche neoliberiste messe in atto dai primi anni 80. La sua battaglia di messa in luce della verità, vista la posta in gioco, dovrebbe essere portata avanti con decisione dalle forze che si definiscono anti-liberiste, da quelle che storicamente difendono  le fasce più deboli della popolazione.  Perché, allora, una larga fetta della sinistra radicale continua a vedere il tema dell'euro come un tabù?

Sono assolutamente d'accordo sulla definizione di euro, e più in generale di cambio fisso, come strumento di lotta di classe. È esattamente così che nell'agosto del 2011 posi il problema sul Manifesto (quotidiano che si definisce comunista). Per essere precisi: il cambio rigido, pressoché ovunque e in ogni tempo, è una istituzione il cui scopo è sovvertire il conflitto distributivo a danno del lavoro dipendente. A quell'epoca ancora non conoscevo, o non erano ancora stati scritti, i lavori che sostengono questa mia intuizione. Il ragionamento ha due semplici tappe: primo, come ha mostrato nel 2001 Ishac Diwan, economista della Banca Mondiale, nell'epoca del capitalismo finanziario il conflitto distributivo si combatte nei periodi di crisi finanziaria. Per noi non è una novità: pensate ad esempio al definitivo smantellamento della scala mobile e alla riforma dei meccanismi di contrattazione attorno alla crisi del 1992, e pensate all'ignominioso "FATE PRESTO!" che durante la crisi del 2011 annunciò le varie riforme di Monti, Fornero, Giovannini, ecc. Secondo: come hanno mostrato nel 2013 Atish Ghosh, Mahvash Qureshi, e Charalambos  Tsangarides, tre economisti del Fondo Monetario Internazionale, non si conoscono crisi finanziarie che non siano state precedute da periodi più o meno lunghi di rigidità del cambio. La rigidità del cambio fornisce una garanzia ai prestatori esteri: la garanzia che il loro credito non si svaluterà. Inutile dire che questo abbassa le cautele di chi presta: chi prende a prestito ne approfitta, salvo poi trovarsi in una situazione insostenibile, sia sul piano finanziario (troppi debiti) che su quello reale (il credito estero fomenta l'inflazione interna e quindi rende il paese meno competitivo). La crisi di finanza privata viene raccontata come una crisi di debito pubblico (questo perché soldi pubblici vengono spesi per salvare, direttamente o indirettamente, le banche private), e la crisi di competitività viene presa a pretesto per smantellare i presidi dei diritti dei lavoratori (dai meccanismi di contrattazione salariale, allo stato sociale). L'adozione di un cambio fisso, nell'esperienza storica del dopoguerra, è sempre ed ovunque un'aggressione ai diritti dei lavoratori.

> 2° Joseph Stiglitz, in un intervista uscita lo scorso anno sul Financial Times, ha dichiarato: "È importante che ci sia una transizione morbida fuori dall'euro, con un divorzio amichevole, verso un sistema euro-flessibile, con un Euro forte del Nord e uno più debole del Sud. Certo non sarebbe semplice. Il problema più rilevante riguarderebbe l'eredità del debito. Il modo più semplice sarebbe ridenominare tutti i debiti europei in debiti dell'euro del Sud". Crede che sia una proposta sensata o l'unica soluzione sia quella di ritornare alle monete nazionali?

Credo che a sinistra, se ci si vuole guardare in faccia senza vergogna, si dovrebbe ripartire da alcune basi metodologiche. Stiglitz quali interessi rappresenta? A tutti gli effetti, quelli di una certa finanza "atlantica" che ha fortissimamente voluto l'integrazione europea, in chiave antisovietica, come fondamentale base logistica per combattere la guerra fredda. I tempi sono cambiati, ma le radici del progetto sono quelle, e questo non andrebbe mai dimenticato, altrimenti si dimentica anche perché il crollo del nemico esterno, nel 1989, impartì al progetto integrazionista una spinta in avanti (la moneta unica). Sarebbe bello anche essere un po’ raffinati metodologicamente, e capire, ad esempio, che i cosiddetti economisti neokeynesiani sono più neoclassici che keynesiani (insomma, che Stiglitz è, metodologicamente, più parente di Milton Friedman che di Keynes, con tutto quel che ne consegue in termini ideologici: qui potrebbe soccorrere la lettura dell’ultimo libro di Paul Davidson). Con questa premessa, e anche scontando l'ovvia distorsione culturale che impedisce a studiosi statunitensi di afferrare la complessità dell'esperienza storica e politica europea (qui non ci sono né indiani né bisonti da sterminare, non partiamo né potremo mai partire da una tabula rasa...), la proposta di Stiglitz potrebbe avere un senso solo in chiave politica, come elemento per rendere accettabile il primo passo di un cammino che riporti la sovranità piena nelle mani in cui è stata posta dalle costituzioni antifasciste, almeno qui in Italia: il popolo (qui in Italia, quello italiano). L'unica proposta sensata è questa: il resto è cosmopolitismo borghese, espressione di quel complesso di Orfeo che, come Michéa ci ricorda, è alla radice dell'impossibilità della sinistra di dire qualcosa di effettivamente rivoluzionario e di contrastare in modo efficace il predominio del capitalismo globalista. Mi fa un po' pena chi parla di tornare "indietro" alle valute nazionali, dando a "indietro" una connotazione negativa. Sono ingenuità, riflessi pavloviani, dei quali a sinistra ci dovremmo veramente liberare, perché presuppongono una visione rettilinea del progresso umano che è del tutto aberrante, figlia di uno scientismo positivista ottocentesco che è più parente di Jules Verne che di Karl Marx. Negli anni '30 siamo andati "avanti" verso i lager, poi, dagli anni '40, siamo tornati dolorosamente "indietro" verso un mondo senza lager. Agli imbecilli che "non si può tornare indietro" credo che questa lieve incongruenza metodologica andrebbe fatta notare: identificare il calendario, lo scorrere del tempo fisico, con una manifestazione o addirittura uno strumento di progresso porta dritti alla barbarie.

> 3° A seguito della rottura della zona-euro, gli scenari che ci vengono prospettati sono sostanzialmente i seguenti: A) Prevale la ragionevolezza in cui i diversi interessi in campo vengono mediati da trattative di natura politica; B ) A prevalere è invece una politica di chiusura nazionalistica, portatrice di guerre commerciali e, nella peggiore delle ipotesi, anche di altro tipo.... Crede che la seconda opzione rappresenti un rischio concreto?  Pensa inoltre che, a seguito del recupero delle leve della politica economica, l'AES (Alternative Economic Strategy) proposta a metà degli anni '70 dalla sinistra labour, consistente  nel controllo dei movimenti speculativi di capitale e in una razionale gestione delle importazioni, potrebbe essere, assieme alla ripristino dello strumento della svalutazione esterna, la soluzione corretta per non incorrere in persistenti deficit della bilancia dei pagamenti?

Non va nascosto il pericolo che l'incoscienza delle nostre classi politiche ci fa correre. Non va nemmeno nascosto che se le classi politiche "conservatrici" sono parte del problema, quelle "progressiste" (à la Jules Verne) non sono certo la soluzione, per il semplice motivo che il loro determinismo positivista le porta ad affermare come inevitabili traiettorie che invece sono frutto dell'agire di interessi economici ben individuabili, sono del tutto umane e del tutto reversibili. Vorrei però che la piantassimo di dare messaggi fuorvianti, almeno noi. Questa storia dell’Europa che porta la pace, e uscendo dalla quale troveremmo la guerra, ormai non fa più ridere, e lo dico con molta amarezza. La "pace" portata dall'Europa si chiama Yugoslavia, Ucraina, Libia, col corredo di politici di sinistra che si fanno fotografare a braccetto di criminali neonazisti (neonazisti sul serio, non come i vertici di AfD). Punto. Le tensioni create da regole economiche assurde, dettate dal forte nel suo esclusivo interesse, hanno ridotto la Grecia in condizioni post-belliche e hanno dato alimento a partiti di destra ultraconservatrice, spazzando via gli utili idioti sedicenti di sinistra dal panorama politico europeo, con la felice (si fa per dire) eccezione del nostro paese, che non credo resterà tale (cioè un'eccezione) a lungo. Dire che la rottura della zona euro di per sé, necessariamente, condurrà a guerre commerciali significa fare un'operazione intellettualmente disonesta, della quale non si avverte il bisogno. La verità è che continuando a sproloquiare in questo modo si seminano nell'opinione pubblica i germi di una irrazionalità, di un pensiero magico, di una regressione infantile (i mercati ci faranno tottò perché siamo stati cattivi), della quale non ci sarebbe mai bisogno, e tanto meno ce ne sarà al momento della rottura. Vorrei solo che chi si esprime in questo modo ci portasse un precedente storico. Storicamente, la guerra viene prima, non dopo, lo smantellamento delle grandi unioni monetarie (quella austro-ungarica, quella sovietica), per il semplice fatto che le tensioni create dall'imperialismo monetario concorrono, generalmente, alla sconfitta dei grandi imperi (non ne sono la sola causa, ma una concausa rilevante sì), e che dopo la sconfitta della potenza imperiale di turno gli oppressi si riappropriano di spazi di autonomia. La guerra viene prima, ripeto, non dopo. Quindi? Certo: dobbiamo dircelo: il nostro principale fattore di rischio consiste proprio nel fatto di non avere una sinistra. Le cosiddette "ricette dell'AES" oggi vengono suggerite (se pure implicitamente) perfino da Fmi. Ma dove sono gli statisti "di sinistra" sufficientemente maturi dal punto di vista culturale e antropologico per rivendicare un proprio ruolo nella loro applicazione? Io, in Italia, non ne vedo, e per quel che mi riguarda considero falliti tutti i miei sforzi di far sorgere un barlume di consapevolezza. Dobbiamo anche dirci, con molta franchezza, che tutto è come sembra, e che il fattore umano, nei processi storici, una differenza la fa. Non aggiungo altro per carità di patria.

> 4° In un momento storico in cui il commercio internazionale sembra in fase di ripiegamento, o comunque in una fase non particolarmente brillante, quanto potrebbe guadagnare l'Italia da una ritrovata flessibilità del cambio valutario? Esistono già delle stime riguardanti l'elasticità delle esportazioni a un ipotetico nuovo cambio valutario?Come considerare poi il fatto che, in un mondo dominato dai flussi finanziari, guidati a loro volta dalle aspettative circa le scelte di portafoglio, il tasso di cambio non influenza pienamente l'andamento della bilancia commerciale?

Non vorrei che facessimo una grande insalata mista di luoghi comune e notizie fasulle (Luciano Barra Caracciolo li chiamerebbe "fattoidi espertologici") diffuse dai soliti noti: forse, almeno noi, potremmo risparmiarci questo calvario. A sinistra siamo rimasti in pochi, siamo una minoranza: cerchiamo di essere almeno buoni, se pure questo comporti essere un po' di meno. Stranamente, l'idea che le svalutazioni sarebbero inefficaci proviene oggi da una delle istituzioni di Bretton Woods, la Banca Mondiale. Questo non stupisce più di tanto: il conflitto di interessi è evidente. Una istituzione a trazione Usa difende un progetto a trazione Usa con il solito argomento che l'alternativa sarebbe peggiore o non soddisfacente (e quindi, anche se c’è, ci conviene fare finta che non ci sia). Ma queste sono scemenze, per almeno tre motivi. Il primo è che è veramente stupido, anzi, veramente americano (nel bene e nel male) far collassare la valutazione dei benefici di un'unione monetaria sull'unico punto dei benefici di una svalutazione. I danni di un'unione monetaria derivano in termini generali dal perdere sovranità monetaria, cioè, in pratica, dal mettere il rifinanziamento del proprio sistema bancario in mano a potenze estere spesso ostili, che possono approfittarne per condizionare i processi politici nazionali (come la vicenda della chiusura delle banche greche al tempo del referendum dovrebbe aver dimostrato). Il secondo è motivo che esiste una letteratura ampia, cui accennavo sopra, che evidenzia appunto come la rigidità del cambio accresca la fragilità finanziaria e la cattiva allocazione dei capitali (per chi crede che il sistema dei prezzi serva ad allocare le risorse): ormai è dato per assodato che la flessibilità del cambio è un ammortizzatore essenziale per evitare crisi finanziarie, e in effetti noi che ne siamo privi non riusciamo a venir fuori dalla crisi (e stiamo perdendo il sistema bancario). Il terzo è che l'evidenza econometrica non è univoca, o se mai lo è in senso contrario. Perfino gli studi che, con metodologie molto fantasiose, dimostrano come le elasticità dei flussi commerciali ai prezzi sarebbero diminuite (il condizionale è d'obbligo data la creatività degli studi), non riescono a dimostrare che lo siano abbastanza da rendere inefficace l'aggiustamento di cambio. Quindi, anche in quello che in fondo è l'ultimo dei problemi (il riallineamento del cambio reale, senz'altro meno rilevante del disporre di piena autonomia politica e del non mettere in pericolo il proprio sistema finanziario) i dati indicano che il recupero dello strumento del cambio sarebbe di aiuto. Forse, ogni tanto, quando si legge uno studio, sarebbe opportuno, in economia, come già si fa in medicina, andare a leggere chi lo abbia finanziato e quali possano essere le sue motivazioni. Questa prassi, quella di interrogarmi su quali interessi rappresenti il mio interlocutore, per me, è di sinistra.

> 5° In un' intervista recentemente rilasciata alla Frankfurter Allgemeine Zeitung, l'economista tedesco Hans Werner Sinn ha dichiarato che la Brexit sarà una catastrofe per la Germania. Lo sarà principalmente a causa delle regole sulla tutela della minoranza che determinano le decisioni prese dal consiglio dei ministri europeo. Con la nuova configurazione, infatti, la  D-Mark block (Austria-Germania-Finlandia-Olanda) senza la Gran Bretagna non arriverà a rappresentare il 36% della popolazione dell'Ue, percentuale minima per bloccare le decisioni. Al contrario, i Paesi del sud, più propensi, vista la loro fragilità industriale, a limitare il libero scambio, arriveranno al 42% . Macron, probabile vincitore delle presidenziali francesi, già parla di nuovo protezionismo europeo come risposta alla politica dell'amministrazione americana. Crede che tale cambiamento possa davvero spostare gli equilibri a favore dei paesi più deboli, al netto del problema legato all'istituzione monetaria?

A questa domanda, nel frattempo, ha già risposto la storia, ma la risposta che la storia ha dato l'ho anticipata nei miei libri e nel mio blog, ed è ovviamente no. Ripeto: a me sembra veramente strano che a sinistra, cioè nella sede del materialismo storico, ci si trovi impantanati in un racconto favolistico dell'esistente. La realtà, credo valga la pena di ribadirla, è un po' diversa. Mi spiace per chi si è raccontato per anni che una parte del paese (ovviamente quella migliore) aveva vinto una guerra che il paese aveva perso: il dato è che l'Italia è un paese sconfitto e militarmente occupato (sentivo oggi alla radio che ospitiamo cinquanta testate nucleari: non so se il dato sia corretto, ma credo di sapere che non sono nostre!). Il nostro spazio politico è determinato da questo dato. Una conseguenza di esso è che non esiste una ragionevole possibilità di creare alleanze fra "poveri" che consentano di muovere minacce ai "ricchi". Il neoprotezionismo di Macron, in effetti, è volto a tutelare la Francia dalle scalate di paesi periferici come l'Italia (abbiamo passato l'estate a parlarne). Come si può pensare che questo possa favorire l'Italia? La verità è che l'Europa serve a impedirci di difenderci, non solo sul piano economico, ma su tutti i piani. Basti guardare la differenza fra il caso Ustica (in cui la Francia fu costretta a fare almeno finta di non entrarci nulla) e il recente attacco alla Libia (portato avanti con spregiudicatezza in modo apertamente ostile al governo italiano). Non credo occorra aggiungere altro.

> 6° Cosa ne pensa della proposta, avanzata dal Prof. Brancaccio, di introdurre uno "standard sociale" sugli scambi internazionali?

Che è senz'altro interessante ma mi piacerebbe studiare meglio da quali meccanismi di "enforcement" questa proposta è assistita. Mi documenterò e le farò sapere. Temo però che anche in questo, come nei casi di infinite altre proposte "miglioriste", mi troverò a urtare contro un limite, che è quello del wishful thinking. Sarebbe bello se la Germania (o gli Usa, o la Cina) facessero quello che ci fa comodo (rispettivamente: pagassero di più i lavoratori, inducessero i paesi in surplus a mitigare le loro pretese, sostenessero la domanda mondiale). Purtroppo se non lo fanno un motivo hegelianamente ci sarà! La verità è che temo non abbia molto senso continuare a comprare tempo speculando su come il sistema potrebbe essere. Dobbiamo riflettere sul sistema così com'è. In questo senso, trovo efficace la formula proposta da Alfredo D'Attorre (prima di rischierarsi con " quelli dell'euro"): dovremmo rifiutare l'europeismo del dover essere, e abbracciare l'europeismo dell'essere. Cosa è l'integrazione europea? Chi l'ha voluta? A chi fa comodo? Di quale progetto è espressione? Questi interessi sono il vincolo all'interno del quale dobbiamo massimizzare il nostro interesse collettivo, nel tentativo di sopravvivere fino a quando sia possibile scardinarli, o approfittare della loro intrinseca contraddittorietà (vedi la recente vicenda elettorale tedesca). In altre parole, a me più che "cosa succederebbe se la Germania pagasse di più i suoi lavoratori" (per fare un esempio), interessa "cosa succederà visto che la Germania non ha alcuna intenzione di farlo". Ponendomi in questa prospettiva metodologica sono riuscito ad anticipare, nel 2011, l'avanzata delle destre alla quale stiamo assistendo. Un politico di sinistra che avesse avuto la lungimiranza o la follia di mettere in guardia contro questo pericolo, e di rintracciarne le radici nelle regole europee, adesso avrebbe un immenso patrimonio di credibilità da investire (certo, col forte vincolo dato dal fatto che il sistema dei media non avrebbe dato spazio alle sue posizioni). Viceversa, la sinistra si è impantanata nelle paludi del "questismo" (come lo definisce Il Pedante, un blogger che mi permetto di segnalare ai lettori): "non vogliamo questa Europa, ne vogliamo un'altra, perché la politica è sogno!". Ma il sogno non è sinistra: sinistra è riflettere sui processi oggettivi che rendono questa Europa, quella che vediamo, l'unica Europa possibile.

> 7° Per concludere vorrei tornare un attimo al problema della ridenominazione del debito in caso di uscita dall'unione monetaria: molti, come ad es. il prof. Salvatore Biasco (Lo stupefacente rapporto di Mediobanca sul debito pubblico e sull'euro, 09/03/2017), pongono l'accento sulle conseguenze per lo stato patrimoniale degli agenti economici, con un effetto catastrofico per la stabilità finanziaria. Oltre al monte di obbligazioni del debito pubblico non ridenominabili nella nuova lira (destinate ad aumentare a causa delle note Clausole di Azione Collettiva), vi sono 672 ml di debito privato estero. Il settore finanziario sarebbe investito da una impressionante mole di perdite; le banche andrebbero ricapitalizzate; il mercato del credito diverrebbe vischioso e ciò comporterebbe il fallimento di molte imprese; aumenterebbero le sofferenze bancarie, già oggi al 14%; alle perdite patrimoniali si sommerebbero quelle dovute al crollo delle azioni in borsa; l'intero attivo del comparto finanziario si deteriorerebbe drammaticamente; aumenterebbero, e di molto, i tassi d'interesse; anche i piccoli risparmiatori sarebbero colpiti dalle perdite; consumi e investimenti crollerebbero, portando alla disoccupazione di massa. Neanche la Banca centrale, tornata indipendente (e pur proibendo i movimenti di capitale) riuscirebbe a sostenere i prezzi delle obbligazioni e calmierare i tassi comprando titoli. I mercati perderebbero fiducia nei confronti dei titoli italiani, privati e pubblici. Le vendite sarebbero travolgenti e la Banca centrale dovrebbe assorbire un ammontare di titoli pari allo stock del terzo mercato obbligazionario del mondo. Vi è poi da considerare tutta la partita relativa al saldo del Target 2. Lo Stato, a causa della caduta verticale delle entrate e dell'aumento di spese per interessi, sarebbe ancora più condizionato nella gestione della politica economica di quanto lo era prima dell'uscita dall'euro. Questo scenario è realistico?

Il professor Biasco è molto preoccupato per le perdite in conto capitale che i BTP potrebbero subire se ci fosse un'impennata dei tassi di interesse (ho avuto modo di confrontarmi con lui su questo punto). Gli siamo vicini in questo suo comprensibile timore. Gli siamo un po' meno vicini nel suo benign neglect verso disoccupazione giovanile, deindustrializzazione, compressione dei diritti democratici, tutti mali che il regime attuale porta con sé. D’altra parte, dopo il bail in forse dovremmo chiederci se sia meglio, per i detentori di ricchezza finanziaria, subire una perdita in conto capitale per via di una eventuale impennata dei tassi di interesse, o un esproprio per via delle regole europee (cioè, sostanzialmente, per difendere l'euro). Vorrei esortare tutti a una maggiore deontologia professionale, che deve in primo luogo tradursi nel non formulare analisi fantasiose e prive di base fattuale. Chi tratteggia quadri a tinte fosche ha l'onere della prova, perché la letteratura scientifica, come ricordo in uno dei miei ultimi lavori, non dà atto di simili tregende. Al contrario: in generale, l'esperienza storica mostra che il crollo di unioni monetarie è scorrelato da brusche lacerazioni dei fondamentali macroeconomici (il che non deve stupire, visto che la logica delle unioni monetarie è meramente politica - redistribuzione del reddito - e quindi anche la loro fine risponde in primo luogo a istanze di carattere politico); l'esperienza italiana, poi, mostra che la configurazione dei fondamentali del nostro paese è particolarmente solida (siamo ancora in piedi nonostante anni di regimi proni a interessi esteri), e che il rischio finanziario del nostro paese, in caso di uscita, è minimo. Certo, il passato non è sempre una solida guida per il futuro, e di questo qualsiasi ricercatore è consapevole. Ma ignorare il passato credo lo sia molto meno, e in ogni caso dietro alla mia valutazione ci sono articoli pubblicati su riviste scientifiche di classe A (incluso il mio ultimo lavoro con Mongeau Ospina e Granville circa l'impatto macroeconomico di una dissoluzione dell'euro sull'economia italiana). Dietro alle valutazioni altrui, duole dirlo, ma spesso non si riesce a trovare nulla che non sia wishful thinking e "spannometria". Questo modo di fare è deleterio per la reputazione della scienza economica (che infatti esce sbriciolata da questa vicenda, ma ingiustamente: nelle riviste scientifiche quanto sta accadendo era stato ampiamente previsto, ed è veramente un peccato che questo patrimonio di conoscenze accumulato dai migliori studiosi internazionali venga dissipato dall'agire poco scrupoloso di studiosi di rilievo locale, quelli che parlano di “inflazione a due cifre negli anni ‘90”, di “svalutazione del 30% se si abbandona l’euro”, di guerre commerciali, e via rincarando); ma è soprattutto deleterio per la democrazia, e anzi, direi, per la politica tout court, perché lo scopo evidente di questi scenari terroristici è quello di imporre una visione "metodologicamente thatcheriana" (e quindi intrinsecamente, fattualmente, attivamente thatcheriana) dei processi sociali, è quello cioè di inculcare nel corpo politico tutto (elettori ed eletti) l'idea delirante e fascista che "There Is No Alternative", che non ci sia alternativa alle pulsioni di morte del capitalismo finanziario. Chi agisce in questo modo si prende una responsabilità, in senso etico e politico, i cui contorni, ne sono certo, sfuggono a molti, ma che la storia temo renderà evidenti. Non sarà un bel momento, ma forse da lì potremo ripartire per ridare un senso alle parole "fare sinistra". Condizione necessaria per questa riappropriazione di senso è che la classe politica “progressista” che ha attivamente partecipato al progetto europeo si tiri indietro con le buone. Non lo farà mai, e quindi, lo dico con grande dolore e con grande rispetto, dovremo attendere che essa sia spazzata via dalla storia, nel nostro paese, come lo è stata altrove. Lo si sarebbe potuto forse evitare, ma la storia non si fa con i sé e con il wishful thinking: il dato che abbiamo davanti ora è questo, recriminare è inutile, dobbiamo gestire questa situazione per noi particolarmente complessa, e dobbiamo farlo tenendo presente che proprio perché la nostra parte politica e i suoi rappresentanti saranno spazzati via, è indispensabile che i nostri ideali di solidarietà e giustizia sociale vengano affermati e difesi con intransigenza e immediatezza. Chi pensa a sinistra che il compromesso, la mediazione, possano assicurargli un futuro sbaglia. La sinistra europeista ha fallito: non può né potrà mai più spendere quel capitale di reputazione e credibilità politica che ha totalmente dilapidato. Dobbiamo ora accumularne un altro, su basi completamente diverse, voltando le spalle a un’esperienza di disastrosa subalternità al capitalismo globalista, senza inseguire vantaggi tattici immediati, e preparandoci a una lunga battaglia. In questo senso, ma solo in questo senso, la Thatcher aveva ragione: a questa operazione di igiene etica e intellettuale “There Is No Alternative”!




26 commenti:

  1. L'esempio della selce scheggiata mi ha stravolto. E quindi, sommessamente, propongo un aggiornamento al DIZIONARIO

    Invece di dire:
    Il lavoro rende liberi

    Prova a dire:
    Produttività

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  2. Quando l'intelletto entra in sinergia col cuore, si fa poesia:
    "...,è indispensabile che i nostri ideali di solidarietà e giustizia sociale vengano affermati e difesi con intransigenza e immediatezza."
    Lo sta dicendo in tutti i modi ed in tutte le salse.
    La prima ed estenuante battaglia la si fa ai preconcetti, dimostrando a suon di martellate intellettuali l'inconsistenza della sovrastruttura culturale della globalizzazione (istituzionalizzata dalla politica) della quale siamo ostaggi. Il resto, verrà da se, quando si dovrà "ricostruire per bene ricominciare"...
    Complimenti professore e grazie.

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  3. Ci sarebbero anche le nostre domande a cui rispondere. Attendiamo fiduciosi ;)

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  4. "Creatività degli studi", "racconto favolistico dell'esistente".

    Da copiare, da studiare a memoria, da pronunciare a fior di labbra con nonchalance qualora se ne abbia l'occasione.

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  5. Vorremmo rassicurare il professor Blasco, se ancora non è fuori moda raccontar favole ai pargoli, con un racconto che concilia il sonno (o forse gli incubi). Il suo incipit è:" C'erano una volta i BOT people, simpatici cittadini italiani che avevano un lavoro con un reddito in grado di consentirgli un risparmio - No, bimbo mio, non si tratta dei BOAT people di oggi! - ..."

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  6. Sei molto cortese, ma un D'Attorre che regge la coda a Bersani e un Fassina che si allea con gli "altreuropeisti" sono un evidente fallimento. Non entro poi nel sostegno diretto o indiretto dato alla campagna di censura di stato. Personalmente ritengo di aver fallito a sinistra. A destra neanche ci provo: hanno cominciato a litigare prima che mi accostassi, per me possono anche premere il pulsante dell'autodistruzione ed elaborerò il lutto. Dopo di che, sul fatto che chi voleva pensare qui abbia trovato la possibilità di farlo, posso anche essere d'accordo. Ma la mia azione è schiacciata fra due vincoli: la testa ce l'ha una minoranza, e le élite, quando hanno la testa, non hanno le palle. Incidere sui processi politici in queste condizioni è molto faticoso, il che ovviamente non implica che io non continui. Io so che la mia scommessa è vinta con probabilità uno e provo compassione per scemi e mezzi scemi che non ci vogliono mettere un centesimo bucato: se li porterà via la piena. Tuttavia, se ci riferiamo all'obiettivo di far sorgere una consapevolezza nella classe politica "di sinistra", tutti i miei tentativi (documentati e no) hanno fallito: questo è un dato.

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    1. Non ci avevo pensato, hai ragione. Da ora in poi non mancherò. Grazie del suggerimento.

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  8. Terribile. Sentirsi dire quello che si prova e si sente sulla propria pelle in modo cosi asciutto, direi asettico, è terribile. Comunque Professore, non si adombri, quello che ha fatto e quello che sta facendo sta salvando vite umane. Ha sicuramente salvato la mia. E chi salva una vita salva il mondo.

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  9. Momento interessante per capire il futuro dell' eurozona.

    La Grecia fu convinta a non uscire chiudendo i rubinetti del dell' erogazione dei liquidi.

    La Catalogna sarà probabilmente sottoposta a qualcosa di più radicale, la chiusura delle centrali idriche che alimentano i rubinetti e praticamente l' espulsione dall' eurozona. Ciò mi appare davvero come un viatico a stampare altro tipo di moneta, non vedo altra possibilità. La qual cosa che mi sembra soprattutto un suicidio economico per la Spagna, per il momento e per molte ragioni ed in seguito l' inizio del suicidio dell' eurozona.
    Gli esiti di questa ingarbugliata situazione sono davvero difficili da prevedere essendo chiaro che comunque ci saranno contraccolpi notevoli anche dal punto di vista del possibile conflitto; credo che una cosa appare chiara in ogni caso e cioè che l' Unione e le sue Istituzioni sono inadeguate, inutili ed inette.

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  10. "Gatto morto"? Lei è troppo tecnico, Profe.
    Quanto al resto, che è quel che più conta, il linguaggio chiarissimo, incisivo ed esemplarmente semplice nello stesso tempo, adottato nelle interviste (soprattutto la prima) è da manuale.

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  11. Non è vero Prof. Io, socialista da sempre, mi sono convinto leggendo i suoi libri, ascoltando i suoi convegni e le sue interviste. Penso che molti altri (a sinistra) abbiano avuto lo stesso mio percorso. Mi creda, quello che ha seminato in questi anni, non erano semi sterili.

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  12. Caro Angelo, non so come dirtelo con delicatezza, ma tu, come me, non sei nessuno! Quindi il fatto di averti convinto mi fa molto piacere e ti sono grato per la tua stima, ma poi? Poi che si fa? Si continua a votare per queste merdine, o si dà un segnale? Perché se i semi veramente non fossero stati sterili, e il campo arato avesse dimensioni congure, il risultato dovrebbe essere che alle prossime politiche l'unico partito che sta affermando in modo più o meno credibile una certa volontà di sovvertire l'ordinamento attuale avrebbe un risultato travolgente. Invece non lo avrà, per lo stesso motivo per il quale Claudio Borghi non è stato mandato (da voi che potevate mandarcelo) al Parlamento Europeo: perché poi, al momento cruciale, scatta la logica dell'appartenenza, la pericolosa illusione di poter "cambiare dall'interno" questa congerie di cialtroni traditori. L'unico modo di cambiare la situazione è spazzarli via: dovete scrivere ai vostri simpatici ex-rappresentanti che se vi propongono ancora la faccia di Bersani voi voterete altrove, ed esattamente dove loro vi diranno di non farlo, e poi dovete farlo, e dopo riscrivergli un semplice messaggio: "Hai visto, coglione?". Punto.

    Ma voi questo non avete coraggio di farlo. Se ce l'avrete, lo vedremo, e allora si aprirà una fase politica nuova, che NON ci risolverà di per sé il problema del paese, ma che potrebbe porre le basi per risolvere almeno il problema di un pezzo del paese: quello che vorrebbe tutelare il lavoro e lo stato sociale. Finché la sinistra TUTTA (da Alfano a Civati) non perde, e non perde pesantemente, e non perde esplicitamente sul tema dell'Europa, non c'è speranza che si risvegli.

    Tu, alle ultime elezioni, cosa hai votato?

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  13. Questo mi stupisce infatti, talvolta mi sembra che tanto maggiore importanza si dia alla propria, personale, raggiunta consapevolezza della sostanza e delle cause della guerra in atto, quanto più si neghi a priori la possibilità, il dovere, di incidere a partire da questa nella realtà politica, sempre nei limiti del personale ovviamente. Come può essere così importante che IO abbia compreso, se è inutile (o addirittura nocivo parrebbe..) che IO agisca politicamente in modo conseguente alla mia comprensione? Non ci trovo nulla di affascinante nella mistica solitudine e autosufficienza dei numeri primi, che sa tanto in realtà di compiaciuto esistenzialismo borghese.

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  14. Personalmente, io il coraggio di votare dove mi dicevano di non votare, l'ho avuto. Ed il sindaco del mio comune lo abbiamo eletto (un altro Comune rosso della Toscana che ha cambiato colore, vedremo per quanto tempo). Ed ho pure votato per Borghi alla presidenza della Regione.
    Non ho scritto nessun messaggio perchè quella gente non aveva mai avuto il mio voto, quindi non lo avrebbero perso. Mi pento di non aver pensato a scrivergli quello dopo...
    Sul fatto che siamo nessuno, sono dolorosamente daccordo. Nessuno nel senso che siamo pochi. Sono convinto che chi è qui non voterà PD, MDP o SI (e varie ed eventuali) per un bel pezzo. Ma siamo una minoranza: fuori è pieno di gente che non voterà per l'asinistra e terrà a bada la coscienza votando M5S. Purtroppissimo (cit.), quando la pancia (vuota) brontolerà più forte della coscienza, sarà troppo tardi.

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  15. Alle ultime politiche ho votato PD sperando in un cambiamento dall'interno della cosiddetta Sinistra di governo.Vana speranza che ho subito mutato in protesta alle Europee (quelle del 40% brandito da Renzie) e alle successive elezioni di ogni ordine e grado. Adesso rimangono, a "sinistra" il Fronte Sovranista e a destra la Lega Nord di Salvini (il bluff M5S non lo considero nemmeno). Io pur di rompere il giocattolo eurocratico nelle mani di questi svenduti del PD e sodali voterei pure il diavolo. Ma resta da capire chi votare in termini di efficacia politica e non di mera protesta.

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  17. Prof, la sinistra capisce solo ciò che è cultura. Il suo impegno comprende anche l'aspetto antropologico (cui alla sinistra rimbalza. Non so come si dica in latino ma converrebbe "farsene una ragione").

    Alle Europee votai Borghi e così feci fare anche a tutta la mia stretta famiglia votante (N°3 voti), dato il paesello minuto fui sorpreso di trovare un quarto voto, ancora oggi sconosciuto.

    Non so se e quanto possa farle piacere, ma quest'anno sto frequentando il corso serale per il diploma, e buona parte di questo passo lo possiamo ascrivere al suo lavoro.

    L'intervista è impeccabile.
    Stia bene.

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  18. Oltre purtroppo alla logica dell'appartenenza e dell'utopia di cambiare dall'interno che continua a fottere troppi, c'è il problema dell'astensionismo trasversale e dilagante che è anch'esso figlio della logica di appartenenza e di delusioni politiche anche recenti, vedasi la voce 5 Stelle... Come minimo un 30% del 25% preso nel 2013 da Grillo era euroscettico.

    Questi hanno un'oggettiva difficoltà, dopo esser stati gabbati, a votare una Lega "sovranista" ma tuttora Nord (è la forma è sostanza) che si allea per l'ennesima volta con l'ottantenne Berlusconi e con una Forza Italia piena di eurofanatici.

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  19. Io ho fatto lo stesso percorso di Angelo, e da ex pd alle ultime europee ho avuto la possibilita' di votare Claudio Borghi (lega). Continuero' anche ora a votarli perche' su euro e immigrazione sono gli unici che ora potrei votare. Non c'e' alternativa (TINA). Di Bersani e di "quelli dell'euro" non voglio piu' sentir parlare. I 5S sono gli utili tsiprioti come podemos. Spero solo che Berlusconi non faccia fare a Salvini una retromarcia stile Le Pen.

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  20. Salve Bagnai,
    appena trovato questo suo intervento/intervista. Sono molto colpito.
    Avendo studiato fisica ho familiarità con le cose “difficili”… oltre che con quelle “semplici” e da qualche anno mi sono dedicato allo studio dell’economia da autodidatta, spinto dal disastro in cui siamo da anni (ormai troppi) e desideroso di capirci qualcosa.
    Con mio grande stupore mi sono accorto che non era difficile capire perché le cose andavano male e non capivo invece perché le elites politiche ed economiche che guidano gli orientamenti nazionali e sovranazionali continuavano a fare scelte che non avrebbero portato a miglioramenti.

    Il suo intervento mi ha aperto gli occhi. E sono quasi completamente d’accodo con lei. Quasi.
    E quindi mi soffermo su un paio di punti di differenza. La prima questione è quella dell’abbassamento tendenziale della domanda di mano d’opera. In altre parole, della perdita di lavoro per via dell’avanzamento tecnologico.

    Lo premetto: non sono un luddista e non vorrò mai la distruzione di macchine né la tassazione di robot (come alcuni ipotizzano). Però le sue argomentazioni sul fatto che l’invenzione della ruota e delle armi non hanno fatto perdere lavoro, sono un po’ ingenue.
    Non possiamo dire nulla circa le ricadute occupazionali di quelle innovazioni così lontane nel tempo in quanto non ci sono dati :-))) Ma possiamo dire qualcosa su quello che è successo in epoche più recenti.
    Che i telai meccanici abbiano avuto un impatto sul lavoro è dimostrato dalla nascita dei movimenti luddisti, appunto. La meccanizzazione dell’agricoltura ha favorito l’inurbamento e spopolato le campagne. Se all’inizio del 1900 la maggior parte della forza lavoro era impiegata nella produzione agricola, oggi i lavoratori in agricoltura sono circa il 5% del totale.
    Mi creda, potrei elencargliene decine di questi esempi fino ai giorni nostri e mostrare quanto le nuove tecnologie di produzione hanno consentito di ridurre la necessità di mano d’opera. E questo è funzionale all’economia poiché la diminuzione della mano d’opera costituisce il vantaggio più monetizzabile di un imprenditore.
    Ma lei è troppo intelligente e so che non contesta questo punto. Lei dice (come molti) che i nuovi prodotti richiedo la nascita di altri settori produttivi che necessitano e assorbono la mano d’opera che i vecchi lavori non garantiscono più e che la tecnologia fa sorgere altre necessità o nuovi prodotti e servizi che richiedono nuova mano d’opera.
    Questo è stato vero per un un transiente temporale che è durato sufficientemente a lungo (150 anni) tanto da farci pensare che fosse una “legge” di natura (economica) autoevidente.
    Purtroppo non è così. Ma per dimostrarle quanto affermo, non posso farlo in poche parole (4096 chars, che fatica). E cmq non voglio sbrodolare le mie tesi sul suo blog, a meno che non me lo chieda.

    Un altro punto su cui non sono d’accordo è sulla causa squisitamente “monetaristica” della crisi. Sono pienamente d’accordo sul disastro euro ma, visto che la crisi è mondiale (qui per mondiale intendo l’economia occidentale) credo che sia egocentrico dire che tutta la colpa è dell’euro. Credo invece che ci sia stata una tempesta perfetta e che l’euro mostra tutti i suoi limiti prociclici proprio nel momento in cui i giochi si fanno duri.
    Per uscire dall’euro ecco una domanda che le faccio da perfetto inesperto: se fosse introdotta una moneta parallela, una volta stabilizzata, non sarebbe molto semplice a quel punto lasciare l’euro?

    Ultimo punto.
    Non è vero che lei ha fallito nel suo intento. Lei sta facendo qualcosa di estremamente importante. Ma forse bisogna sistematizzare la diffusione dei concetti di cui lei è validissimo divulgatore. Promuovere degli incontri pubblici va bene ma forse bisogna farlo in maniera più organizzata e incisiva di quanto le forze di un singolo possano consentire.
    No, non mi riferisco ad un partito politico. Un movimento culturale piuttosto (enciclopedisti?). Prima di un partito politico bisognerebbe elaborare una idea di società. Solo allora si potrebbe fare la differenza.

    Francesco Ruggiero

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    1. Caro Francesco,

      sei vivo per miracolo. Quindi approfittane. Intanto, cerca di capire che se vieni qui a banalizzare quanto dico, non potrà sempre andarti bene. Ho scritto due libri per investigare la natura della crisi. Se devi risparmiare scrivimi e ti mando i pdf. Poi mi dirai se io attribuisco alla crisi una causa "monetaristica". Ti renderai magari anche conto che sollevare capziosi distinguo in materia economica senza cominciare dal distinguere monetario da monetarista non è esattissimamente un bell'esordio.

      Sul non dare consigli non richiesti, non posso riuscire io dove hanno fallito altri cui questo compito incombeva.

      Venendo invece al punto di merito interessante che sollevi, scartata la dialettica da bar con la quale ti appropri, per smontarlo, di quello che è un evidente paradosso (anche questo non è un bell'esordio), non mi soffermo tanto sull'ingenuità scientista con la quale credi che se l'uomo coglie una mietitrebbia dall'albero delle mietitrebbie improvvisamente cinquanta posti di lavoro come bracciante scompaiono (perché tu stesso ti rendi conto che questo argomento non funziona, assegnandogli non so bene in base a cosa un limite temporale), ma ti esorto a considerare che se in un'economia capitalistica la disoccupazione è SEMPRE una scelta politica, lo è tanto più in una crisi di domanda.

      Per le tue tesi, potrai in effetti aprire un tuo blog, o anche mandarmi separatamente un testo che, se mi convincerà, troverà facilmente spazio in questo blog.

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  21. Si, in effetti sbaglio ancora qualche termine "economico". Mi perdoni.
    Comprerò i suoi libri e li leggerò con molto interesse. E' che in rete ho trovato (per ora) suoi interventi esclusivamente sull'euro. Quindi forse ho fatto un sillogismo. Mea culpa ancora una volta.
    Per quanto riguarda occupazione e disoccupazione invece, io non sono convinto che in una economia capitalistica la disoccupazione sia SEMPRE una scelta politica. Intendiamoci, so che il controllo della disoccupazione è uno strumento politico ed economico potentissimo ma non sono convinto che questa sia "sempre" una scelta.
    Facciamo così, mi leggo i suoi due libri e poi le mando le mie riflessioni, magari riviste alla luce dei suoi scritti. Così magari posso esprimerle più dettagliatamente le mie tesi sull’abbassamento tendenziale della domanda di mano d’opera. Mi creda, non è un paradosso. Nella mia teoria si spiega tutto. Anche i 150 anni :-)

    Saluti e grazie della sua risposta.

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    1. Carissimo,

      grazie a lei per la disponibilità. Comunque, questo è un blog tecnico, del quale io cerco con tutte le forze di difendere il rigore. Quindi, mi corre l'obbligo di dirle che quello che lei ha fatto non è un sillogismo (procedimento della logica deduttiva). Quello che ha fatto lei mi sembra più assimilabile a un procedimento induttivo, anche se, come vedrà, da Aristotele in poi le cose si sono complicate. Io però preferisco chiamare metodo induttivo quello di chi chiama "dato" il plurale di "aneddoti". I 150 anni si spiegano molto bene: sono più o meno il tempo che passa dal compimento della prima rivoluzione industriale a oggi. Aspetto con curiosità, ma temo che andremo a parare nel solito paralogismo, quello di chi vuole giudicare cosa succederà domani prendendo come controfattuale il mondo di oggi... senza tener conto che quello di domani sarà diverso, in un modo che non possiamo facilmente intuire. Se poi le cose staranno altrimenti, tanto meglio...

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  22. Ho letto la Seconda Intervista: è proprio perfetta, impossibile fare di più e di meglio! Perché il suo parere, allora, non è più ritenuto importante dai montanariani, che pure criticano aspramente e spesso giustamente, almeno credo, pd, bersaniani, pisapiani, civatiani e così via?
    Forse perché lei non rispetta alcuni dogmi ed articoli di fede dei veri progressisti illuminati e ideologicamente senza macchia: si prende cura "banalmente" più dei legittimi diritti ed interessi dei lavoratori italiani, che di mettere al primo posto quelli dei nostri ospiti stranieri (colpa gravissima, quasi una grave eresia per la sinistra dura e pura); inoltre vuole contrastare il pieno realizzarsi del meraviglioso "sogno europeo", che ci assicurerà pace, prosperità e sicurezza sotto la saggia, esperta e "benevola" guida dei nostri amici ed alleati tedeschi, francesi ed altri, che già tanti "sacrifici" hanno affrontato per salvare la Grecia e si apprestano a farne altri per "salvare" anche noi; poi vuole farci restare ancorati all'obsoleto concetto di nazione, invece di esortarci ad aprirci al cosmopolitismo, al mondialismo, all'accoglienza illimitata, e chiudo qui.
    Aggiungo soltanto, fuor di metafora, che è impresa praticamente impossibile smuovere i sinistri dai loro dogmi fideistici, che li spingono non ad adattare l'ideologia alla realtà, ma a volere -al contrario-adattare la realtà all'ideologia, specie una volta raggiunto il potere.
    Ci volle il milione di morti del 1927, perché Mao convincesse i vertici del suo partito a portare avanti la rivoluzione nelle campagne con i contadini, invece di continuare a farsi massacrare nelle città, dove gli operai erano una piccola minoranza. Ci vollero otto anni dal 1919, anno di fondazione del PCC e più di un milione di operai comunisti trucidati orrendamente, perché l'eretico Mao potesse deviare dai sacri principi ideologici marxisti ed essere ascoltato.
    Lo stesso, con le dovute differenziazioni storiche, temporali e geografiche, temo possa verificarsi con il folle esperimento dell'euro: la sinistra cambierà idea solo a seguito di eventi per noi, ancora più tragici e disastrosi di quelli occorsi alla Grecia.
    D'altra parte, non ci sono alternative diverse o migliori di quelle saggiamente e lucidamente elencate dal professore al settimo punto della seconda intervista, essendoci una classe politica nel complesso favorevole in netta maggioranza all'EU ed all'euro e zelantemente prona ad interessi stranieri. Solo una piccola minoranza di persone è consapevole della gravità del problema e capisce qualcosa di economia. Poi c'è la propaganda di tv-giornali e media in generale, divenuta, per chi la comprende, sfacciata ed irritante.
    Contrari all'euro infine sono solo Salvini e la Meloni, continuamente demonizzati, ed ora addirittura in pesante dissidio fra di loro: quasi tutti gli altri invece sono occupati ad inseguire... "il sogno europeo" e solo pochi economisti lottano, con armi e mezzi impari, per opporsi a queste assurde iniquità, mentre molti preferiscono posizionarsi vantaggiosamente all'interno del "sogno". Alla gente comune resta l'incubo, ed ai più fortunati un disgusto ed un'amarezza profondi.
    Sì, professor Bagnai, la sua seconda intervista è proprio perfetta, crudelmente perfetta, e, purtroppo, maledettamente chiara e semplice da comprendere anche per chi avesse solo un minimo di voglia di farlo. Però il suo capolavoro ha un imperdonabile difetto: non fa sognare...!!Purtroppo lei ha questa fastidiosa fissazione di dire la verità...

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